La località
di Romituzzo, posta lungo il tracciato odierno della
S.S Cassia, alla periferia sud di Poggibonsi, era
originariamente appartata rispetto allantico
centro valdelsano e collegato ad esso dalla strada
detta delle Chiavi che, provenendo dalla omonima
porta, si congiungeva proprio a Romituzzo ad un'altra
via che portava nel Chianti. La via Cassia, in quell'epoca,
attraversava il torrente Staggia presso la Magione
salendo poi alla basilica di S. Lucchese, allora
chiamata S. Maria a Camaldo, da dove proseguiva
poi per Poggibonsi e Firenze. Proprio alla biforcazione
di Romituzzo, da cui si raggiungevano Strozzavolpe,
Talciona e le limitrofe località chiantigiane,
già fin dal 1321 si ha notizia che vivessero
in ritiro ed in preghiera alcune pie donne. Per
i loro costumi eremitici esse vennero chiamate dalla
popolazione "romite" o "romituzze",
appellativo da cui poi derivò il nome della
località. Di alcune di queste pie donne si
conosce il nome: Dina, Benedetta, Iacopa di Calcinaia
ed Uliva di Ponte alla Staggia. Esse vengono ricordate
in un antico documento, esistente nell'Archivio
di Stato di Firenze, datato 26 giugno 1323, e in
molti atti del Comune di Poggibonsi la cui popolazione
offriva elemosine per il loro sostentamento. Alla
dimora di queste donne sembrano riconducibili le
tracce di un piccolo edificio, ritrovate durante
i recenti restauri, sotto i locali dell'attuale
sacrestia. Oltre ad alcune tracce di murature, sono
emersi anche i resti di rudimentali fognature e
alcuni reperti tra i quali una ciotola in terracotta
e una moneta ora conservate presso il Gruppo Archeologico
di Colle val d'Elsa che a suo tempo curò
gli scavi e le indagini grazie all'opera della Dott.ssa
Cristina Galgani, di Stefano Mori e di molti altri
volontari.
Fu proprio nei pressi della loro abitazione che,
tra la fine del 1300 e l'inizio del 1400, lungo
la strada, fu edificato un piccolo tabernacolo,
nel quale venne effigiata, da un ignoto pittore
di scuola senese, l'immagine della Madonna della
Neve. Da documenti reperiti presso la Curia Arcivescovile
di Firenze pare certo che a far costruire il tabernacolo
sia stato Bernardo di Duccio Adimari, della facoltosa
famiglia fiorentina proprietaria, all'epoca, dei
territori di Strozzavolpe, con l'omonimo castello,
Papaiano, Talciona e di Romituzzo stesso.
La leggenda vuole invece che l'immagine della vergine
fosse stata scoperta la prima domenica di maggio
sotto un cumulo di neve caduta fuori stagione. La
gente del posto si mise a scavare sentendo dei lamenti
e sotto la coltre trovò una grossa pietra
che su di un lato aveva raffigurato limmagine
della Madonna. La pietra venne spostata sul bordo
della strada, ma nel pomeriggio del giorno seguente
una forza misteriosa faceva ritornare il masso al
centro della strada nello stesso punto dove era
stata trovata, fu così che in quel luogo
fu deciso di erigere un tabernacolo.
Il figlio di Bernardo, Donato Adimari, per meglio
conservare l'immagine sacra, davanti alla quale
sembra non tralasciasse di trattenersi quotidianamente
in preghiera, fece costruire una tettoia in legno
anche per meglio riparare i numerosi fedeli che
ad essa accorrevano. Traccia di questa semplice
struttura è emersa nel corso degli ultimi
restauri sotto il pavimento del presbiterio, davanti
e lateralmente all'altare maggiore, dove sono stati
identificati i fori dei pali che dovevano sostenere
la copertura lignea e una palizzata di protezione.
Solo nel 1460 uno dei figli di Donato, Antonio Adimari
commissario e governatore di Poggibonsi al tempo
della signoria Medicea, realizzò una cappella
in muratura dotata di campanile a vela e successivamente,
facendo girare più lontano la via pubblica,
la ingrandì dotandola di un ampio loggiato.
Dai saggi effettuati sotto il pavimento dell'aula
e sulle murature è emerso che la prima cappella
era più corta e più bassa dell'attuale
edificio, avendo l'antica chiesetta la facciata
dove sono attualmente gli altari laterali, presentando
l'imposta del tetto nel punto in cui attualmente
si stacca il cornicione interno in gesso. Lo stesso
campanile a vela con due slanciate monofore in laterizio
è stato individuato all'interno della muratura
sulla parete dell'altare in alto a sinistra.
Con questi interventi il tabernacolo fu quindi inglobato
nella nuova struttura e ingentilito da un altare
in pietra serena mentre una cornice in legno dorato
e dipinto fu posta ad adornare l'affresco della
Vergine. A queste importanti opere oltre alla famiglia
Adimari prese parte, per mezzo di una congregazione
religiosa, anche il popolo di Poggibonsi; da questo
fatto trarrebbe origine la controversia, nata successivamente,
fra la famiglia fiorentina ed il comune di Poggibonsi
circa il patronato sulla chiesa. Gli Adimari, infatti,
si considerarono sempre protettori dell'oratorio
(che peraltro dotarono anche di alcuni terreni)
e si adoperarono sempre a favorirvi e promuovervi
il culto: a testimonianza di questo avevano anche
posto su una delle porte laterali il loro stemma
ancora oggi esistente. Sono forse ad essi riconducibili
due sepolture rintracciate davanti al gradino del
presbiterio e parallele ad esso ritrovate durante
gli scavi.
Intorno al 1550 in conseguenza di alcuni miracoli
operati dalla sacra immagine ebbe inizio il periodo
di massimo splendore dell'oratorio di Romituzzo.
Numerosissimi fedeli accorsero al santuario per
invocare grazie e la grande affluenza di popolo
provenente da tutta la Valdelsa convinse gli Adimari
a provvedere la chiesa, con l'approvazione dell'arcivescovo
di Firenze, di un sacerdote fisso che celebrasse
regolari messe e funzioni religiose e fornisse assistenza
ai pellegrini. Allo scopo di dare una degna dimora
al sacerdote fu costruita sul retro della chiesa
una casa dotata di una piccola vigna che tuttavia
fu spianata per consentire un facile accesso al
grande flusso dei devoti. Il moltiplicarsi delle
offerte che pervenivano al santuario permisero la
realizzazione di una serie di lavori di abbellimento.
Risalirebbe; al 1570 la costruzione dell'attuale
campanile in laterizio (due delle attuali quattro
campane che lo corredano, furono fabbricate a Pistoia
e sono dovute ad un lascito del 1888), al 1571 l'affresco
della pietà in sacrestia e del crocifisso
sopra l'altare maggiore; e al 1580 la collocazione
in chiesa della balaustra lignea, dei confessionali,
delle porte del coro e di quelle della chiesa. Tali
furono le offerte in denaro, donate alla chiesa
in ringraziamento o per perorare una grazia che
fu necessario realizzare un cippo in pietra posto
davanti all'altare (locus elemosinis) attraverso
il quale le offerte arrivano ad un locale sotterraneo
chiuso da una grata in ferro.
Per quanto riguarda invece, gli oggetti preziosi,
una volta provveduto all'arredo dell'altare e della
chiesa, gli oggetti di minor valore venivano venduti
destinandone il ricavato all'oratorio; quelli più
preziosi venivano invece mandati a Firenze, così
come appare dagli inventari dell'epoca. Solo i ricchi
e i benestanti, comunque potevano fare offerte così
generose, il popolo minuto iniziò a ringraziare
la Madonna delle grazie ricevute con doni costituiti
da tavolette dipinte e da parti anatomiche in carta
pressata e dipinta realizzate forse nella vicina
Colle Val d'Elsa dove fioriva già in quell'epoca
l'attività di numerose cartiere. Ben presto
le pareti della chiesa e della sacrestia divennero
insufficienti a contenere l'ingente quantità
di questi ex voti, a tal punto che si dovette invadere
anche le pareti del loggiato esterno.
La complessiva affluenza di ricchezze e in ogni
caso il prestigio economico che esso sempre più
rappresentava fu la causa delle discordie fra gli
Adimari ed il comune di Poggibonsi, il quale si
avvocava, per la posizione del santuario sulla pubblica
via e per il citato concorso della comunità
alla sua realizzazione, il diritto all'amministrazione
dei beni e alla custodia dell'oratorio, dal canto
loro gli Adimari, già dal 1522, giustificavano
i loro diritti sull'oratorio con l'aver fatto dipingere
la Sacra Immagine ed erigere il tabernacolo, oltre
alla proprietà del terreno su cui sorgeva
la chiesa. Alla vertenza prese parte anche l'arcivescovo
di Firenze ma la lite si protrasse negli anni fino
a che non intervenne il comune di Firenze, a cui
Poggibonsi si era rivolto con pressanti istanze.
Esso, attraverso i suoi rappresentanti non trovò
di meglio che avvocarsi ogni diritto sull'oratorio
prescrivendo severe norme sulla custodia e sull'amministrazione
dei beni e nominando, con un decreto datato 20 giugno
1571, un incaricato alla sorveglianza nella persona
di Nicolao Squarcialupi. Successivamente l'autorità
fiorentina assegnò alla gestione dell'oratorio
due operai ed un camerlengo che amministrassero
tutte le entrate e le uscite, con il controllo annuale
da parte del Podestà e del Magistrato dei
Nove. Tuttavia la vicenda non si risolse definitivamente
e si protrasse ancora negli anni fino a che, con
l'estinzione della famiglia Adimari ed il conseguente
venire meno di uno dei contendenti, la faccenda
si affievolì sedandosi.
Purtroppo il prolungarsi di queste dispute pur non
intaccando il fervore religioso verso la Madonna,
indussero nel tempo una forte sfiducia con la conseguente
diminuzione delle offerte. Così, per la scarsità
di fondi, furono ridotte al minimo le officiature
e gli obblighi verso i benefattori, mantenendo e
celebrando però in maniera solenne le tre
ricorrenze annuali che in quell'epoca vedevano ancora
accorrere al santuario folle di fedeli.
Durante il XVII secolo pur essendo ormai lontana
l'epoca del massimo splendore, non mancarono al
santuario avvenimenti e celebrazioni di una certa
importanza. La chiesa continuò ad essere
aperta ed officiata a cura dei frati Agostiniani,
allora residenti nella chiesa di San Lorenzo a Poggibonsi,
e degli Osservanti di S. Lucchese i quali assicurarono
assistenza ai numerosi devoti che, anche in conseguenza
del rinnovato fervore religioso suscitato ovunque
dal Concilio di Trento, continuavano a frequentare
il santuario. Proprio a causa del generoso afflusso
di fedeli che spesso non riuscivano a confessarsi
e comunicarsi, nel 1612 fu deliberato di erigere
due nuovi altari, uno dedicato a S. Carlo Borromeo,
e l'altro SS. Francesco e Domenico, che furono addossati
alle pareti laterali vicini all'ingresso.
Con un decreto del 1682 il vescovo di Colle Val
d'Elsa concesse
"licenza e facoltà
ai signori operai dell'oratorio di Romituzzo, che
possano prevalersi delli voti d'argento affissi
al detto oratorio et altri agenti come cucchiai
e forchette al medesimo pertinenti ad effetto di
fare una lampada d'argento per servizio e onorevolezza
del suddetto oratorio da porsi a tempi opportuni
davanti la detta.devotissima immagine", la
lampada, realizzata nel 1707 e ancora oggi esistente,
fa bella mostra di se sospesa al centro dell'aula
davanti all'altare della Madonna. Un altro avvenimento
che testimonia il permanere di un notevole attaccamento
al santuario da parte della popolazione è
rappresentato dal permesso concesso sempre dal vescovo
a due popolani, Luigi Galassi e Federico Ciaspini,
di raccogliere elemosine a Poggibonsi ed in tutta
la diocesi per fare una corona d'argento con cui
decorare l'immagine sacra. Anche questa iniziativa
si realizzò nel 1690 in occasione della festa
dell'Ascensione e fu preceduta da varie celebrazioni;
la corona d'argento fa ancora oggi parte del corredo
della chiesa e adorna la Madonna nei giorni precedenti
la festa di Maggio.
Per avere notizie di un certo interesse sul santuario
bisogna arrivare al 1726, allorquando l'altare che
abbiamo visto dedicato a San Francesco e Domenico,
venne riconsacrato, allorché, il Priore generale,
commissario apostolico dell'Ordine Carmelitano,
vi fondò la Congregazione della Madonna del
Carmine. Successivi interventi sull'oratorio risalgono
al 1760, quando fu posto un grande cancello di legno
intagliato davanti alla porta principale e, alla
destra di esso, una lapide in pietra serena scolpita
e forata per la raccolta delle elemosine. Il cancello
è stato restaurato ma non rimesso in loco
per motivi pratici. Nel 1788 il Santuario di Romituzzo,
a causa dei problemi in ordine alla sua amministrazione,
sulla cui condotta nel corso dei decenni più
volte erano state denunciate irregolarità
ed abusi, fu aggregato alla Propositura di S. Maria
Assunta di Poggibonsi alla quale sarebbe rimasto
legato fino al 1967.
Nel 1881, venne rifondata, dopo la soppressione
granducale, la compagnia della Madonna del Carmine,
e nel 1890 fu sistemata sull'altare laterale, al
posto della precedente tela, una statua della madonna
in cartapesta per la cui collocazione fu realizzata
un'apposita nicchia in muratura. Nel 1885 venne
realizzata una nuova casa per il rettore del santuario
in sostituzione dell'antica di cui, nel tempo, si
era persa la proprietà. Il santuario, infatti,
a causa delle accennate vicende amministrative,
era rimasto privo oltre che dell'abitazione del
custode, anche di una stanza per conservare paramenti
e arredi sacri. Fu così che, chiudendo un'arcata
della loggia destra dell'oratorio, e innalzando
il muro attiguo alla sacrestia fu ottenuta sopra
il loggiato una nuova casa di sette stanze. Risalirebbero
ancora a quel periodo la modifica e la parziale
sopraelevazione del loggiato sinistro, questo intervento
consentì di ricavare dei locali ad uso agricolo
al pianterreno con sottostante cantina, un ammezzato
e un'abitazione. Davanti a questi locali rimase
l'antico pozzo, che forse ancora a quell'epoca risultava
coperto da una tettoia lignea. Risalgono anche a
questo periodo i restauri sull'affresco della Madonna,
interventi destinati purtroppo a manometterla peasantemente.
Ai primi del '900 con la sopraelevazione della prima
campata del portico sinistro, onde ricavare una
nuova stanza di abitazione, il santuario assume
l'aspetto attuale. Altri importanti interventi furono
realizzati in vista dei festeggiamenti del 1926,
anno in cui ebbe luogo l'incoronazione aurea della
sacra immagine per mano dell'arcivescovo di Firenze
Cardinale Mistrangelo. La bella corona aurea fu
offerta in quella occasione attraverso una raccolta
di offerte in oro e tuttora adorna la sacra immagine
della madonna nei giorni dell'annuale festa di maggio.
In preparazione a questo evento fu ritenuto necessario
compiere alcuni restauri: furono sistemati i tetti,
ripulito l'interno del tempio dove con ogni probabilità
fu aggiunto il cornicione in gesso e la decorazione
architettonica dipinta che tuttora caratterizza,
dopo il restauro, l'interno. All'esterno fu restaurato
il loggiato dotandolo, al fine di evitarne l'uso
come ricovero di mezzi agricoli, la cancellata in
ferro. Sempre in questa circostanza, grazie allaiuto
volontario di squadre di Poggibonsesi, venne tagliato
il ciglio sterrato di fronte al santuario creando
un ampio piazzale tra la chiesa e la Cassia che,
nel frattempo, aveva assunto l'attuale sistemazione.
La cerimonia avvenne il 2 maggio 1926 sul sagrato
della Propositura di Poggibonsi dove un simulacro
dell'immagine della Madonna, realizzato dal pittore
Garibaldo Cepparelli di San Gimignano, fu coronato
con una corona doro offerta dal popolo di
Poggibonsi e poi portato con una solenne processione
al Santuario di Romituzzo. Questa copia dellimmagine,
è la stessa che tuttora viene portata processionalmente
dal centro di Poggibonsi al santuario la sera precedente
la festa di maggio. Da allora ebbero origine alcune
tradizioni popolari, quali: La processione solenne
con la partecipazione di tutte le parrocchie e della
banda cittadina, i fuochi dartificio, ecc..
A tuttoggi si ripetono con entusiasmo questi
momenti che testimoniano la devozione dei poggibonsesi
alla vergine di Romituzzo venerata patrona di questo
popolo. Ma nonostante le manifestazioni di fede
popolari e i festeggiamenti di maggio il santuario
rimaneva chiuso per la maggior parte dell'anno,
solo dal 1933 con l'impegno di Don Fosco Mezzedimi,
allora cappellano della Propositura, la chiesa venne
aperta e officiata tutte le domeniche e le feste
di precetto. Nel 1944 passarono da Poggibonsi gli
Alleati in guerra con i Tedeschi: il paese subì
durissimi bombardamenti ai cui effetti non sfuggì
la chiesa di Romituzzo, la quale riportò
notevoli danni alle strutture e alle coperture.
I danni furono completamente riparati, già
nel 1948, grazie alla partecipazione della cittadinanza
e all'interessamento di Don Fosco. Fu questo sacerdote,
profondamente legato all'immagine custodita nel
santuario, che il 1 marzo 1967, ne divenne il primo
parroco dopo che loratorio fu elevato a parrocchia.
Fu sempre Don Fosco, nel 1971, ad affrontare i danni
provocati dal crollo di una capriata del tetto;
il restauro fu però completato in breve tempo
e interessò anche l'esterno del Santuario
dove si curò un parziale ripristino della
copertura del loggiato e degli intonaci della facciata.
Tutto questo fu realizzato grazie al contributo
degli abitanti di Poggibonsi tra i quali fu indetta
una sottoscrizione.
Alla morte di Don Fosco Mezzedimi (8 maggio1988)
alla guida della parrocchia successe Don Vincenzo
Fallaci, il quale stimolato dall'affetto verso la
Madonna e sostenuto da un lascito dell'ex parroco
intraprese, nel 1992, un importante intervento di
restauro sul Santuario le cui condizioni statiche
cominciavano a destare notevoli preoccupazioni a
causa della vetustà del legname dei tetti.
Il progetto fu affidato agli architetti Marco Magni
e Piero Guicciardini, con la collaborazione degli
architetti Nicola Capezzuoli e Alessandra Fineschi,
gruppo che già negli anni precedenti avevano
frequentato il santuario sull'onda di un interesse
generale suscitato dalla presenza degli ex voto.
Numerosi studiosi, fra i quali il Prof. Pietro Clemente
dell'Università di Siena e il Dott. Alessandro
Bagnoli della Soprintendenza senese si fecero promotori
di numerosi studi ed interventi tra i quali alcune
tesi di laurea, mentre studi sulle tradizioni e
sulla festa furono condotti dal Laboratorio Comunale
di cultura e tradizioni coordinato dal Prof. Fabio
Dei. Nel 1990 una esposizione presso la Pinacoteca
nazionale di Siena di una campionatura di ex voto
di cartapesta e di tavolette dipinte restaurate,
replicata anche a Poggibonsi, rappresentò
la concretizzazione di questo interesse e degli
sforzi di tutte queste persone. L'intervento di
restauro sul santuario interessò, attraverso
lotti successivi, gli annessi e la sacrestia per
poi estendersi all'aula e al loggiato antistante.
Con la morte di Don Vincenzo, (12 aprile 1995) il
suo successore Don Umberto Franchi ha proseguito
e concluso l'opera nel 2000, con i lavori sui locali
sul lato sinistro e il rifacimento di tutti gli
intonaci esterni.
Ai lavori sulle strutture, curati dalla Ditta Ristori
Tarcisio, si sono via via affiancati i citati interventi
di scavo e di studio archeologico da parte del Gruppo
archeologico colligiano, il restauro degli affreschi
per cura di valenti professionisti come Sergio Begliardi,
il restauro degli arredi e degli infissi lignei
della chiesa a cura della Ditta Fidam di Poggibonsi.
A coronamento di tutti questi interventi, supportati
anche da donazioni di banche e semplici fedeli,
c'è stato lo smontaggio, la catalogazione
e la ripulitura di tutto il patrimonio di ex voto
cartacei del santuario. Questo intervento, lungo
e paziente è stato, possibile grazie all'interessamento
del citato Dott. Alessandro Bagnoli e della competenza
del laboratorio di restauro Atelier di Siena e interamente
supportato dalla locale Soprintendenza.
Il fedele che oggi si avvicina al Santuario di Romituzzo
non troverà una chiesetta sperduta nelle
campagne come era un tempo, ma una realtà
parrocchiale di oltre 4400 anime, un vero Santuario
ubicato all'interno di un quartiere trafficato e
rumoroso, ma al cui interno è possibile ritrovare
il silenzio e la devozione con le testimonianze
e il fervore di una fede di altri tempi. |
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